Giulia a Koyasan
Per arrivare al Monte Koya è necessario cambiare un paio di treni locali, prendere una funicolare e infine un autobus: la scoperta di questo posto incantato inizia proprio dal viaggio per raggiungerlo.
La partenza è da Osaka, nel nostro secondo giorno in Giappone. Passando attraverso la campagna è facile chiedersi dove siano finiti i grattacieli e l’immensa città che abbiamo appena lasciato.
Sotto una leggera pioggia raggiungiamo una piccola stazione di interscambio. Compriamo un paio di ombrellini in un minuscolo ma fornitissimo chioschetto sui binari. Intorno a noi soffia un leggero vento fresco, le goccioline di pioggia battono delicate sui binari.
Il secondo tratto di treno è in salita e percorre una strada tortuosa, fuori dal finestrino si susseguono scorci di natura incontaminata e selvaggia, grazie alla pioggia è tutto verdissimo, una leggera nebbia ci impedisce di vedere in lontananza ma il paesaggio è meraviglioso lo stesso.
Una volta arrivati ad una piccola stazione veniamo accolti dal tintinnare di centinaia di fūrin decorati con i disegni dei bambini. Prendiamo la funicolare per un breve tratto che si insinua sempre di più nella foresta e una volta arrivati ci meravigliamo nel trovare un ampio piazzale per gli autobus e diversi uomini in divisa che ci chiedono in quale tempio soggiorneremo e in base a quello ci indicano quale linea di autobus prendere e dove scendere.
Il paese si sviluppa lungo un una strada su cui si trovano tutte le principali attrazioni. Il tempio che abbiamo scelto per soggiornare si trova ad una estremità del paese, nei pressi del famoso cimitero di Oku-no-in che avevamo deciso di visitare al crepuscolo. Ad accoglierci allo Shojoshin-in c’è un signore molto gentile che ci mostra il monastero, spiegandoci tutte le regole e la camera. Prima di entrare, come nel resto del Giappone, è necessario togliere le scarpe. La cena è servita alle 17,30. Dopo la cena è possibile fare un bagno nella vasca tradizionale in legno, dove è necessario lavarsi accuratamente prima di immergersi ed è vietato l’uso di indumenti, anche intimi. In camera sono forniti due yukata che possono essere usati per la cena ma non durante la preghiera mattutina, che si svolge alle 6, prima della colazione. Il tempio è aperto tutta la notte per cui è possibile uscire e rientrare a qualsiasi ora.
La nostra camera si trova al primo piano ed è una grande stanza con il tradizionale tatami a terra e due futon, uno spazio con un tavolino basso con una teiera, quattro tazze di porcellana e due dolcetti di benvenuto. Inoltre c’è una piccola stanza con il lavandino. La vista dalla camera è magnifica: dal primo piano vediamo il laghetto privato del tempio, le montagne e il sole che si trova già a metà del cielo e illumina le nuvole che iniziano ad allontanarsi lasciando spazio al cielo azzurro. Decidiamo di farci un te caldo per riposarci dopo il lungo viaggio e goderci la vista dalla camera. Prima di cena abbiamo tempo per gironzolare nei pressi del tempio e scopriamo che tutto attorno è un susseguirsi di edifici sacri.
Una volta rientrati per la cena, ci viene indicata un accogliente stanzetta al piano terra, proprio davanti al laghetto, dove troviamo tre vassoi elegantemente apparecchiati con una serie di piccole ciotole preparate con grazia. Pochi minuti dopo arriva un giovane monaco che aggiunge una teiera e il riso bollito e ci spiega a grandi linee cosa stiamo per gustare. La cena è rigorosamente vegana, le ciotole contengono molte cose di cui non capiamo esattamente l’origine, il gusto è particolare. Per una sera è curioso provare cose così diverse da quelle a cui siamo abituati.
Terminato tutto ci congediamo e decidiamo di andare ad esplorare il cimitero. Una volta attraversato il ponticello all’ingresso inizia un sentiero in cui 200.000 pietre tombali riposano protette da altissimi cedri secolari. Siamo soli ed è come trovarsi immersi in una delle foreste magiche disegnate da Miyazaki nei suoi film: sembra che da un momento all’altro potremmo essere circolanti da migliaia di Kodama.
La passeggiata prosegue tranquilla e l’oscurità inizia a scendere fino a rendere impossibile distinguere le cime degli alberi dal cielo nerissimo. Arriviamo in uno spiazzo, dove di giorno dovrebbe esserci un punto ristoro e quando stiamo per imboccare la strada del ritorno intravediamo una luce tra gli alberi: sono le lanterne del Toro-do. Ci avviciniamo come incantanti, è un luogo magico, profondamente spirituale, dove è impossibile non lasciare un pezzo di se stessi, l’odore della foresta e dell’incenso si mescolano.
La strada del ritorno è piacevole, immersa ormai nell’oscurità assoluta, spezzata dalla luce delle lanterne che ci guidano fino all’uscita.
Il nostro tempio è lì che ci aspetta. Prima di andare a letto ci concediamo un bagno caldo rilassante, le rane in giardino scandiscono il tempo con il loro canto.
La mattina successiva la sveglia è per le 5.30, assistere alla preghiera è un esperienza unica e vogliamo approfittarne. Due monaci pronunciano i testi sacri inchinati, seguendo una serie di rituali di apertura e chiusura del libro, suonando diversi strumenti. Durante le preghiere ammiriamo la stanza riccamente arredata. Dopo il rito gironzoliamo per l’edificio scattando alcune fotografie e ci dirigiamo a consumare la prima colazione, che si svolge come la sera precedente.
Dopo un breve giro nel cimitero, per ammirare le tombe coperte di muschio, illuminate dai raggi di sole che filtrano tra gli alberi, decidiamo di incamminarci a piedi fino all’altra estremità del paese visitando tutti i templi che ci ispirano, senza un piano preciso. Scopriamo il Kongobu-ji dove ci offrono te e dolcetti, ne ammiriamo le magnifiche porte dipinte e il giardino di pietre, poi ci dirigiamo verso il complesso Danjo Garan, l’arancione e il bianco del Tempio di stagliano contro il cielo azzurro, è tutto meraviglioso. Infine raggiungiamo il grande Daimon Gate.
Da qui prendiamo l’autobus che ci riporta direttamente al Tempio per riprendere le valigie e partire alla volta di Kyoto.
Autore e foto
Giulia Di Lellis