Giappone 2023 – Lungo la Route 42
PROGRAMMA
24/03/2023: Linate -> Monaco di Baviera -> Haneda
25/03/2023: Haneda -> Osaka (pernottamento Sotetsu Fresa Inn Namba)
26/03/2023: Koyasan con pernottamento in Shukubo (Shojoshin-in) e tour notturno del cimitero Okuno-in
27/03/2023: Koyasan -> Hashimoto (noleggio auto) -> Kokawadera -> Negoro-ji -> Wakayama (Kimiidera) -> Shirahama -> Kushimoto (pernottamento all’Oedo Onsen Monogatari)
28/03/2023: Kushimoto -> Hashigui-Iwa -> Cape Shionomisaki -> Taiji -> Maruyama Senmaida -> Nachi-Katsuura (pernottamento al tempio Daitaiji)
29/03/2023: Nachi-Katsuura -> Kii-Katsuura -> Kumano Nachi Taisha -> Kumano Hongu Taisha -> Kumano Hayatama Taisha -> Kumano (pernottamento in una guest-house a conduzione famigliare, Oni no Sanpomichi).
30/03/2023 Kumano -> Toba -> Mikimoto Pearl Island -> Osatsu -> Okushima (Miyako Resort Okushima Aqua Forest)
31/03/2023 Okushima -> Kashikojima -> Yokoyama Observatory -> Ugata -> Ise -> Futami-cho (Hamachiyokan)
01/04/2023: Futami-cho -> Toba (riconsegna auto) -> Osaka -> Tokyo (night bus)
02/04/2023: Tokyo Otemachi -> Haneda -> Italia
COSTI
Volo: 1550 € (rimborsabile + extra per posti con più spazio per le gambe)
Trasporti/Noleggio auto/Pernottamento (sempre camera singola)/Benzina/Autostada/Visite/Sim etc.: 2.300 €
Spese di vitto, ingressi ai monumenti, etc.: 300 €
Altre Escursioni a pagamento:
25/03/2023: Tour privato di 4 ore a Dotombori – City Unscripted – 120 €
29/03/2023: Kawabune River Boat Tour – Kumano Travel – 30 €
30/03/2023: One-Day Ama Experience – Kaito Yumin Club – 215 €
01/04/2023: Stars on Ice Japan at Ractab Dome – Osaka – 150 €
VOLI
Andata: 24/03/2023 9:50 LIN -> MUC -> 8:55+1 HND – ANA/Lufthansa
Ritorno: 02/04/2023 11:45 HND -> FRA -> 22:10 LIN – ANA/Lufthansa
La premessa di questo viaggio è che è stato in gestazione dal 2020. Sarei infatti dovuta partire il 03/04/2020 e ovviamente non se n’è fatto nulla… sono stata in stand-by per 3 anni.
Nel frattempo, è successo di tutto, anche a livello personale, e ormai mi chiedevo se avesse senso insistere per partire o se questo ottavo viaggio in terra nipponica fosse maledetto e non fosse piuttosto il caso di mollare e cambiare del tutto l’itinerario, ma alla fine mi sono decisa… e nell’impossibilità di trovare compagni per il periodo sono partita da sola.
Ovviamente questo ha fatto lievitare i costi, anche perché in Giappone nelle camere tradizionali non conta il numero di occupanti, ma la dimensione/nr. di tatami, quindi il costo per la camera singola ha un forte impatto. Anche la macchina ovviamente era tutta a carico mio, per non parlare delle escursioni, visto che i tour privati sono sempre per 2-5 persone e una persona da sola paga un supplemento extra. Insomma, tutto quel che ho risparmiato negli ultimi tre anni me lo sono giocata in una botta sola, ma non rimpiango minimamente la scelta, anzi! Dico solo che in due avremmo speso meno della metà, ma come si dice, meglio soli che male accompagnati e io e me stessa andiamo molto d’accordo.
Nel 2020 avevo deciso di fare tutto in completa autonomia, ma con le chiusure post-pandemiche in parte ancora in atto in Giappone e la contemporanea ripresa del turismo la faccenda si è rivelata più complicata che nel 2020. Alcuni degli alberghi che avevo opzionato nel 2020 non erano più su Booking, altri avevano cambiato gestione o erano chiusi, altre escursioni sembravano impossibili perché non prenotabili o con orari ridotti. In più stavo lavorando 12 ore al giorno e non avevo tempo da dedicare a ricerche e prenotazioni (e meno male che avevo ancora le note del 2020), per cui alla fine ho deciso di affidarmi in parte a Marco Ferrari (Marchino in Giappone): gli ho consegnato l’itinerario/programma che avevo stilato e gli ho chiesto di occuparsi di una parte delle prenotazioni.
Io ho preso il volo, uno dei pernottamenti, i trasferimenti da e per Tokyo, le escursioni a Osaka, nel Kumano e a Toba e ho preparato tutto l’itinerario e il programma, mentre Marco mi ha prenotato gli altri pernottamenti “ostici” dall’Italia, la guida dell’ultimo giorno a Ise e la macchina a noleggio. Gli ho detto esattamente dove volevo dormire e in che tipo di alloggio, soluzioni non negoziabili . Praticamente gli ho fatto fare il “lavoro sporco” che non potevo/volevo fare io. Deve avermi odiato, ma davvero è andato tutto alla perfezione, quindi grazie.
L’itinerario è stato studiato nei minimi dettagli per vedere il più possibile con i pochi giorni a disposizione. Da qui anche la scelta di un volo più costoso con Lufthansa/Ana rispetto a Emirates/Etihad, ma con tempi di viaggio decisamente più brevi.
Certo avrei tanto voluto avere due giorni extra per stare più tempo nella zona di Ise e andare a vedere i ciliegi a Yoshino, ma non avevo neanche un’ora di ferie in più a disposizione e il rischio di “ciccare” la stagione della fioritura e trovarmi a Yoshino a guardare i rami spogli era troppo alto. Sarà per una prossima volta.
Disclaimer: aggiungo, per i puristi, che so bene che il Kumano Kodo andrebbe fatto a piedi ma:
1) il tempo era quello che era;
2) non sono fisicamente in grado di affrontare il percorso a piedi. Ho problemi congeniti ai piedi ed esco ora da 3 mesi di fisioterapia, non è proprio il caso di fare un pellegrinaggio a piedi sulle montagne;
Contrariamente ai miei precedenti viaggi questa volta ho deciso di noleggiare una macchina: il trasporto pubblico nella zona che volevo visitare è poco capillare, con pochi treni e molti autobus, ma con corse poco ravvicinate. Insomma, è piena campagna, con tutti i pregi e i difetti. In ogni caso, anche noleggiare la macchina ha i suoi contro: limiti di velocità bassissimi, parcheggi cari (e pochi posti) e necessità di programmare con attenzione i percorsi.
Nonostante sapessi per certo che la macchina a noleggio avrebbe avuto il navigatore in inglese, decido comunque di partire con il MIO navigatore, con tutti i percorsi pre-programmati nel dettaglio. Questo ha comportato per me una lavorata immane prima della partenza (tipo 50 ore), in modo da avere un’idea precisa dei tempi di percorrenza medi e sapere sempre a che punto fossi del programma previsto.
Garmin (=mio navigatore), non vende le mappe del Giappone all’estero. Mi sono quindi affidata alle mappe opensource, che sono tecnicamente perfette e routabili, ma con il piccolo ostacolo degli ideogrammi sulla mappa che non vengono letti in modo corretto e il non piccolo particolare che non è possibile ricercare gli indirizzi. La soluzione è faticosa, ma semplice, prendo le coordinate gps da Google Maps, cerco i punti nel programma della Garmin e poi inserisco a mano gli indirizzi e le note che mi serviranno. Sulla base dei vari punti e delle distanza ho poi costruito le “rotte” che ho copiato sul navigatore per il viaggio.
Ho creato anche alcune rotte alternative, nel caso decidessi di cambiare programma all’improvviso per adeguarmi al clima o ad altri imprevisti (puntualmente successo).
Sembra una follia, ma l’idea si rivela decisamente vincente ed è stata la chiave del successo per un viaggio corto ma ambizioso e in solitaria, perché scoprirò poi che nonostante il navigatore della Yaris che mi daranno sia in inglese, l’inserimento delle destinazioni e la programmazione sono in hiragana/katakana (o con il numero di telefono) e non è possibile una programmazione giornaliera, ma solo tappa per tappa e avrei perso un sacco di tempo.
Decido di portare anche la mia dashcam: mi permetterà di filmare/fotografare una parte del percorso come ricordo e mi sarà d’aiuto in caso di malaugurati problemi con la macchina.
Infine, come già in altri viaggi, ho prenotato per tempo una sim con dati illimitati su rete NTT Docomo per 7 giorni da inserire nel mio telefono e avere sempre internet ad alta velocità.
In tutto questo bailamme di preparativi, la mia storica insegnante di giapponese settantenne (che ancora spera che prima o poi andrò a fare l’esame di livello N3, ma se non studio andremo avanti altri 20 anni, ma questa è un’altra storia…) decide all’improvviso e prenotazioni fatte che
a) io povera donzella non posso viaggiare da sola;
b) vuole vivere un’avventura alla Thelma & Louise;
e mi si aggrega per una parte del viaggio.
La cosa mi fa ovviamente molto, molto piacere, ma mi scatena ansia da prestazione (visto che ho organizzato tutto io) e un po’ mi preoccupa, perché la ragazzuola ha uno spirito indomito e una ne pensa e cento ne fa, insomma è un pericolo pubblico.
E non parla che poche parole di inglese, quindi tutta la comunicazione e organizzazione si basa sul mio giapponese. Addio.
Comunque le mando il programma e gli hotel e lei si organizza i pernottamenti per conto suo. Starà con me per 3gg, dal 27 al 29/03.
Per quanto riguarda il volo, biglietto economy, ma semi-rimborsabile e spazio extra per le gambe. Parto al mattino dall’Italia e arrivo a Tokyo Haneda alle 9 del mattino successivo, meglio di così non si può.
Ho cercato mille combinazioni per arrivare direttamente su Osaka, ma nulla che fosse conveniente economicamente o che non mi facesse perdere tempo (con 10 gg in tutto non potevo passarne 4 in viaggio o arrivare morta di stanchezza prima di cominciare il giro) e la combinazione migliore è stata aereo su Tokyo e poi shinkansen fino a Osaka. Niente JRP in quanto rientrerò a Tokyo da Osaka l’ottavo e ultimo giorno di viaggio e sarei fuori dai 7gg del pass base (e ci sarebbe comunque pochissima convenienza economica).
Per risparmiare qualche soldo opto quindi per un rientro in bus notturno (Willer bus), ma scelgo l’opzione con sedili “Reborn” (praticamente un letto) in modo da riuscire a dormire, visto che poi andrò dritta all’aeroporto per ritornare in Italia e che il giorno dopo si lavora. Alla fine, non c’è un sostanziale risparmio economico rispetto allo shinkansen in sé, ma risparmio una notte in albergo e ho la giornata intera da passare a Osaka, dato che il bus parte da Umeda alle 21:30, mi sembra un buon compromesso e farò un’esperienza nuova.
Giorno 1 – 24/03 Parma – Linate – Monaco di Baviera – Tokyo
Giorno 2 – 25/03
L’aereo atterra ad Haneda alle 9:40 con una mezz’ora abbondante di ritardo, perché il volo ha atteso alcuni passeggeri in ritardo da Parigi, ma in aereo ho dormito almeno 5-6 ore e sono quasi in forma, passo l’immigrazione a tempo di record sventolando il cellulare con in bella vista i QR code pre-registrati, ritiro il bagaglio e alle 11 sono a Shinagawa pronta a prendere il primo Nozomi per Osaka. A Shinagawa regna il caos (lavori in corso e una folla mai vista), il primo treno delle 11:17 non ha posti prenotabili liberi e – vista la folla – io non ho voglia di lottare per un posto libero nelle carrozze non prenotate trascinando il trolley, per cui salto la coda prenotando via app un posto lato Fuji sul treno successivo delle 11:25 e ritirando la prenotazione rapidamente alla macchinetta.
Ovviamente piove che Buddha la manda e il Fuji non si vede neanche a salirci sopra, amen.
Alle 13:40 (con un minuto di ritardo!️) arrivo a Shin-Osaka e Marco Ferrari mi accoglie e mi accompagna velocemente in hotel (Sotetsu Fresa Inn Namba). La camera è piccola ma dotata di ogni comfort, con un letto comodo e in posizione super tattica (metro a 30m, stazione per il Koyasan a 100m, combini di fianco alla porta).
Le previsioni minacciano pioggia fino a tarda sera, ma alla fine il tempo tiene e c’è a sprazzi anche un piccolo raggio di sole. Non perfetto, ma chi si lamenta?
Saluto Marco che mi ha guidata fino all’hotel da Shin-Osaka, mangio due spiedini di pollo del combini, bevo due litri d’acqua gasata Tansan (una droga!), mi do una sistemata/rinfrescata e alle 15:30 sono già in giro per Namba. Vado subito in un 7/11 a ritirare il biglietto per lo show di pattinaggio su ghiaccio che con l’aiuto di un’amica giapponese sono riuscita a prenotare per il 01/04 al Ractab Dome di Osaka e poi allungo la passeggiata fino al Namba Yasaka Jinja, il tempio con la testa di leone che mangia gli spiriti maligni.
Dalle 18 ho prenotato un tour privato di 4 ore a Dotombori con guida. So benissimo che Osaka si può fare da soli etc, etc, ma dopo un giorno e mezzo di viaggio sono – come previsto – stanca morta e la mia soglia di attenzione è pari a quella di un bradipo zoppo; quindi, non voglio perder tempo e voglio vedere tutto il possibile nel poco tempo che ho, visto che nei miei 7 viaggi precedenti a Osaka non ci sono mai stata.
Le uniche richieste che ho fatto alla guida come “must” del tour sono:
1) mangiare la cheesecake di Rikuro;
2) mangiare il 10-Yen-pan;
3) fare il giro sul fiume Tombori in barca;
Alle 17:30 mi raggiunge in hotel anche la Maestra che, pur abitando a 50 km scarsi da Osaka, non ha mai fatto la turista by night e si aggrega al tour. A fine serata tornerà a casa e ci rivedremo poi il 27/03 come da precedenti accordi.
Il tour si rivela perfetto e non avrei potuto chiedere di meglio.
Iniziamo con la vista di Osaka dall’alto dei 300m dell’Abeno Harukas e poi iniziamo l’esplorazione di Dotombori.
Il piccolo problema è che almeno metà della popolazione giapponese ha deciso di p assare la serata a Dotombori e c’è una folla pazzesca e code incredibili davanti a ogni ristorante/bar/stand di street food. Per fortuna la guida ha prenotato i biglietti per la barca in anticipo e noi sorpassiamo agilmente la coda e facciamo un bel giro di 30-40 minuti. La serata è umida, ma non fredda, e si sta bene.
La coda davanti a Rikuro è impressionante, ma la mia guida si guadagna di nuovo la mia imperitura gratitudine e 5 stelle su Tripadvisor: ha fatto lei la coda nel pomeriggio al posto mio e mi regala una cheesecake intera e una scatola con 3 paste (che saranno la mia colazione del giorno dopo). Yay!
Il 10-Yen pan (cialda gigante con impresso il disegno della moneta da 10 yen e ripiena di formaggio fuso) è un po’ deludente, troppo dolce, ma l’esperienza andava fatta e 500 Yen non sono una spesa eccessiva.
La serata finisce con un ultimo giro nei dintorni fino alla Nankai station da dove prenderò il treno per il Koyasan il giorno dopo.
Nonostante il fuso, dormo 7 ore filate fino al suono della sveglia.
Giorno 3 – 26/03
Mi sveglio un po’ sconvolta e decisamente indolenzita dalla giornata di 30 ore appena trascorsa, ma la colazione con tè e millefoglie alla crema mi rimette in sesto e l’adrenalina da viaggio entra presto in circolo.
Sosta rapida al combini per la scorta giornaliera di Tansan e si parte.
Se la sera prima ho avuto fortuna e la stagione ha tenuto… oggi… la pago con gli interessi. Salgo sul treno e vedo Noè e i due coccodrilli che mi salutano con la mano sotto un diluvio universale.
Il panorama verso il Koyasan è splendido, ciliegi in fiore a profusione, ma il diluvio continua e scende anche un po’ di nebbia. Ovviamente mi spiace, ma se devo scegliere, meglio che piova oggi che sono in paese in mezzo ai templi che nei prossimi giorni quando sarò in itinere dalla mattina alla sera e in mezzo alla natura.
Arrivo al tempio dove pernotterò, il Shojoshin-in. È uno shukubo molto bello, con camere in stile giapponese con futon e bagni in comune. La cena e la colazione sono in stile buddista vegetariano (shojin ryori). Faccio check-in ed esco subito per la visita dei siti Patrimonio dell’Unesco.
Sul Koyasan (1000m slm) i ciliegi non sono ancora sbocciati, ma la pioggia, per quanto fastidiosa, crea una certa atmosfera “mistica” che non mi dispiace più di tanto, almeno finché non mi riempio una scarpa in una pozzanghera. Giro tutto il paesello a piedi e inizio la mia raccolta di Goshuin. I Goshuin sono dei grandi timbri, apposti dai monaci giapponesi, che da un lato certificano la visita ad un santuario o tempio specifico e dall’altro sono una forma di “benedizione”, in quanto appunto apposti da un sacerdote.
Nonostante le difficoltà logistiche, dopo il caos di Osaka, Koyasan è un’oasi di pace. Mi rilasso e apprezzo la tranquillità di questo paesino un po’ fuori dal tempo, molto silenzioso (nonostante i turisti), con i templi che profumano di legno e cera e con i pavimenti scricchiolanti. Visito quanti più monasteri possibili, in primis perché quando sono in un posto cerco di vedere il più possibile e anche perché, pur nella similitudine delle strutture, all’interno sono sorprendentemente diversi.
Il pranzo è in corsa, sotto l’ombrello, con un paio di delizie da combini, ma va bene così, perché dopo la colazione ipercalorica della mattina non ho molto appetito e quando sono in viaggio i miei pasti sono spesso degli spuntini fatti nel corso del giorno in base alla mia “gola”.
Alle 15:45, dopo 5 ore di passeggiata, il disagio delle scarpe bagnate supera il piacere della visita e rientro alla base, anche perché alle 16 apre l’ofuro e alle 17:30 si cena.
Il primo ofuro di questo viaggio è il giusto premio alle mie fatiche, per una volta sono sola nella grande vasca e mi godo l’ammollo.
Mi godo molto meno la cena vegetariana dei monaci… ma sapevo che per me, che sono di gusti difficili, sarebbe stato uno scotto da pagare. Mangio il più possibile per rispetto, ma è dura e mi do presto alla macchia, per prepararmi all’uscita serale.
Alla sera, alle 19:00, ho in programma il tour serale del cimitero Okuno-in guidato da uno dei monaci del tempio Eko-in. Anche questa è una visita che avrei potuto fare da sola, visto che il cimitero è sempre aperto, ma sono contenta della mia scelta: il monaco ci spiega la storia del cimitero, approfondendo diversi concetti del buddismo Shingon e ci racconta la storia del Kōbō Daishi (o Kūkai), che fondò la setta e i monasteri/templi del Monte Koya attorno all’8°secolo.
Intanto, ha finalmente smesso di piovere e l’atmosfera del cimitero, con una lieve nebbiolina, è molto suggestiva.
Il tour finisce verso le 21 e rientro alla base. Molti monasteri sprangano la porta alle 21, ma il mio è moderno: l’ofuro chiude alle 22 e lasciano sempre una porticina aperta.
Dopo la cena “difficile” e la scarpinata di 3 km sulle pietre bagnate del cimitero mi merito una fetta di cheesecake di Rikuro e le mie aspettative sulla sua bontà non vanno deluse.
Giorno 4 – 27/03
Sveglia alle 5:30! Yay!
Mi alzo di buon’ora (il fuso mi dà una mano e poi ero andata a letto molto presto), preparo i bagagli e alle 6:30 corro ad assistere alla preghiera mattutina dei monaci.
Finalmente spunta un timido sole, ma la mattina è gelida; ci sono circa 3°, e il monastero NON è riscaldato se non con stufette a cherosene nelle singole stanze, appoggiate tranquillamente sul tatami in paglia… ehm…
Nonostante il freddo, è un altro momento molto suggestivo e di pace. Non sono particolarmente religiosa, ma è un bel modo di cominciare la giornata ed è una buona occasione di visitare la Main Hall del Shojoshin-in, altrimenti non aperta al pubblico.
Alla fine della preghiera quasi tutti vanno a colazione, ma – per chi vuole – il monaco accompagna i visitatori in un minitour del tempio, illustrando i tesori e spiegando il significato dei simboli e delle statue. Il monaco non parla una parola di inglese, ma ci tiene a fornirci quante più spiegazioni possibili e, in ogni stanza che visitiamo, mi consegna una mail con le informazioni in inglese da leggere ad alta voce (sono stata nominata speaker). È un momento di incontro che mi è piaciuto molto.
Faccio una foto alla colazione, ritiro il mio Goshuin e scappo a mangiare un’altra fetta di torta di Rikuro prima di prendere un taxi per scendere alla stazione e partire per Hashimoto con il treno delle 8:43.
L’appuntamento con la Maestra è alle 10 in stazione a Hashimoto e mi aspetta puntualissima all’uscita già alle 9:45. Recuperiamo rapidamente la macchina (compatibilmente con la burocrazia locale) e partiamo verso sud. Alla sera abbiamo prenotato una camera Japanese Style all’Oedo Onsen Monogatari di Kushimoto, con cena a buffet, accesso alle terme e biglietto per l’acquario locale.
La Maestra si era inizialmente offerta di darmi una mano alla guida, ma ha dimenticato la patente, quindi – come avevo già messo in conto – sarò l’unico pilota e la Maestra farà da navigatrice, aiuto!
La giornata è sostanzialmente una tappa di trasferimento verso l’area del Kumano, ma vogliamo comunque vedere quanto più possibile.
Il percorso è ambizioso e sono consapevole del fatto che probabilmente dovremo saltare/velocizzare qualche tappa, per arrivare entro le 19 a Kushimoto, ora massima di check-in in hotel. In realtà sono solo 200 km in tutto, ma se in Italia ci metterei due ore, qui alla folle velocità di 70 kmh in autostrada e semafori in ogni dove… ce ne vogliono almeno 4 solo alla guida.
La prima tappa è il Kokawadera, un tempio delizioso immerso nei fiori di ciliegio in piena fioritura. Una perla nascosta che ci lascia entusiaste, tant’è che 25 minuti previsti diventano un’ora abbondante. Cominciamo bene…
Riprendiamo la macchina, passiamo da un altro “Sakura-Spot”, il Negoro-ji, ahimè deludente, e ad ora di pranzo siamo a Wakayama. Il programma prevederebbe un picnic nel parco del castello, ma abbiamo avuto la stessa idea in 5000 e non troviamo un buco per parcheggiare. Dopo 40 minuti di lotta nel traffico ci arrendiamo e decidiamo per una un altro Sakura-Spot alla periferia della città, il Kimii-dera, che avevamo inizialmente scartato per i 231 gradini in pietra richiesti per arrivare in cima (la Maestra è in formissima, ma over 70).
Anche qui i parcheggi sono inesistenti e io comincio seriamente a pensare che noleggiare la macchina sia stata un’idea malsana, ma per fortuna, come i Pokemon, mi gioco la carta Maestra. La fanciulla salta dalla macchina e contratta un parcheggio gratis con una ragazza che gestisce un ristorante. Mangeremo lì e potremo lasciare la macchina finché vorremo. Fantastico.
Ed è così che finisco a mangiare tacos hawaiiani con ragù, riso e ananas a Wakayama.
Finito il pasto tra molte risate, scopriamo con sommo gaudio che gli intraprendenti monaci hanno approfittato del lockdown per installare un trenino a cremagliera che permette di bypassare i 231 gradini e al modico prezzo di 400 yen siamo in cima alla collina in 3 minuti.
Il Kimii-dera è davvero bello. Anche qui i ciliegi sono in piena fioritura. C’è anche una splendida vista sulla baia di Wakanoura.
Recuperiamo in breve tempo il possente mezzo e ripartiamo alla volta di Shirahama, dove faremo l’ultima sosta della giornata prima di Kushimoto. A Shirahama vediamo la spiaggia bianca (importata dall’Australia dopo che una forte mareggiata si è “mangiata” quella originale, ma non sottilizziamo) e le falesie e rocce di Sandanbeki e Sanjiojiki. Fortuna vuole che arriviamo in un orario perfetto, con il sole calante e colori splendidi. Ci riempiamo gli occhi e si riparte.
Arriviamo a Kushimoto sul filo del rasoio e ci fiondiamo a cena.
La cena è con formula “Viking”. Con “Viking” in Giappone intendono “all-you-can-eat” a buffet. C’è effettivamente un buffet fantastico, con pietanze tradizionali e anche un angolo internazionale. La Maestra si butta sul sushi e sulla wagyu alla griglia con sorprendente appetito, mentre io decido di morire di indigestione di wagyu e gyoza. Life is good.
Life is good fino a quando la Maestra non mi comunica che il giorno dopo andremo a vedere il sole sorgere in una spiaggia vicina e che… Il sole sorge alle 5:51. Ops.
Dopocena ci tuffiamo nelle vasche termali (io dritta nel rotenburo all’aperto) per dimenticare e poi ci infiliamo svelte nel futon in previsione della sveglia alle 5 del mattino.
Giorno 5 – 28/03
Sveglia prima dell’alba e alle 5:40 siamo in spiaggia per vedere il sole che sorge tra le Hashigui-Iwa Rocks.
Davvero bello e valeva la pena di fare una levataccia.
Rientriamo in hotel in tempo per la colazione. La colazione è più tradizionale che occidentale e, mentre la Maestra si rituffa sul tonno, io trovo poca scelta per i miei gusti, così decido di dare il colpo di grazia alla cheesecake di Rikuro, ormai in scadenza. Dopo la scorpacciata di tonno anche la Maestra si butta sulla torta.
Alle 9 in punto siamo in macchina e partiamo alla volta del Kushimoto Marine Park (https://www.kushimoto.co.jp/english/), un piccolissimo e un po’ datato acquario locale dove però un’installazione in mezzo alla baia permette di scendere sott’acqua e osservare i pesci nel loro habitat (Parco Nazionale) a 12 metri di profondità. Vediamo tartarughe e pesci tropicali e una barriera corallina poco colorata, ma sorprendentemente sviluppata. L’acqua ha già raggiunto i 18 gradi e la Maestra deve convincermi a non andare a mettermi il costume da bagno seduta stante.
La tappa successiva è Capo Shionomisaki, la punta più a sud dell’Honshu, da cui si gode un panorama bellissimo. Seguiamo la strada costiera verso nord e ripassiamo da Kushimoto per poi proseguire verso nord e i templi del Kumano Kodo.
A questo punto la Maestra, che già da settimane aveva una sua personale agenda di cose che voleva tassativamente farmi vedere, decide che io non posso andarmene senza vedere il Taiji Whale Museum (https://en.visitwakayama.jp/venues/venue_832/), un incrocio tra un centro di studio sull’economia della balena in Giappone e un parco divertimenti con spettacoli acquatici di delfini e beluga ammaestrati. E il secondo punto sull’agenda è la visita al ristorante locale che propone pesce fresco e carne di balena (o più generalmente cetaceo, perché la parola “くじら” Kujira, balena, in realtà include dai capodogli ai delfini e tutti i cetacei in generale).
Provo a dissuaderla e a rimandare al giorno dopo, sperando che poi non ce ne sia il tempo, ma a queste due cose ci tiene tantissimo, per lei è un’esperienza culturale imprescindibile e me lo ripete più e più volte, non ho molta scelta.
Mi rendo conto che è una cosa eticamente discutibile, opinabile e criticabile e anche io avrei preferito evitare l’esperienza, ma la Maestra appartiene ad una generazione diversa della mia, non capisce certe tematiche ambientali (e diciamolo, la sensibilità alle a questi temi è una cosa relativamente recente in Giappone) e lei della caccia alla balena e del suo consumo alimentare vede solo l’aspetto tradizionale e culturale. Mi ha parlato con molta nostalgia e trasporto di quando a scuola mangiava la balena e dell’importanza delle calorie e dei grassi forniti dalla balena in un’economia post-bellica in cui a scuola si mangiava spesso l’unico pasto caldo della giornata.
Cosa devo dirle? Che avere visto il Parco Nazionale con il santuario marino al mattino e mangiare una polpetta di balena a pranzo è una contraddizione assurda?
Lo è, come tantissime cose che chi viaggia in Giappone con sguardo critico non potrà fare a meno di notare.
Posso dire che io la “carne di balena” non l’ho comprata, l’ha presa lei e me ne ha messo un pezzo nel piatto, ma alla fine ho ceduto.
E comunque non è forse ipocrita anche gridare allo scandalo per la balena e scofanarsi due chili di tonno (pescato magari in Sicilia e spedito dall’altra parte del mondo) pensando che il problema sia diverso? Come se certe razze di tonno non fossero ormai una specie a rischio…
Rimane il fatto che sono sua ospite e che la Maestra sta condividendo con me quello che per lei è un aspetto importante della sua cultura e per rispetto mi adeguo e mi astengo dal giudizio.
Finita la visita, riprendo in mano la situazione e rimetto insieme i pezzi del programma ormai rivoluzionato. Dopo un po’ di indecisione, visto il tempo splendido e l’orario (ormai si sono fatte le 16), decido di anticipare il giro per le risaie terrazzate di Maruyama Senmaida (丸山千枚田, https://www.kankomie.or.jp/en/report/detail_181.html) previsto per l’indomani, puntando al tramonto e sperando che nei campi ci sia ancora acqua.
Prima della partenza ho studiato il percorso e le location dei punti panoramici nei minimi dettagli e il mio navigatore è pronto per la sfida.
Ho anche deciso non percorrere la statale 40 che corre a fondovalle, ma di fare solo stradine in mezzo ai boschi e di arrivare in cima dalla vecchia strada montana. Il panorama è stupendo, ma la strada è talmente stretta che la mia Yaris quasi si incastra e io sono terrorizzata all’idea di incontrare una macchina che procede in senso contrario. La Maestra è in preda al panico e mi sa che perde 10 anni di vita. Però, per fortuna, non incontriamo nessuno e alla fine arriviamo al primo punto panoramico da cui si gode una vista impareggiabile su tutta la vallata, mentre la Maestra alla vista delle montagne verdi e dei prati lussureggianti urla estasiata… “la Svizzera!”.
Le terrazze sono colme d’acqua e brillano alla luce dorata del tramonto e la Maestra mi guarda trasecolata chiedendomi come abbia scoperto dell’esistenza di questo posto di cui lei, giapponese doc, non ha mai sentito parlare. Guidando lentamente facciamo tappa fotografica a tutti i viewpoints che avevo segnato e alla fine arriviamo a quello più in alto, da cui si gode la vista migliore.
Con somma sorpresa della Maestra, sul posto ci sono già dei fotografi professionisti in attesa del tramonto. Io monto con un po’ di vergogna il mio treppiedi nano (portare quello “serio” si è rivelato logisticamente impossibile) e mi preparo all’attesa di circa mezz’ora per il tramonto.
Un fotografo già piazzato mi guarda con compassione e poi estrae dall’auto il suo treppiede di riserva e me lo offre per la serata. Commossa, ringrazio e mi piazzo al suo fianco, pronta per uno degli spettacoli naturali più belli cui io abbia mai assistito.
Restiamo sul posto ben oltre il previsto, dopo il tramonto e quasi fino all’imbrunire, ma mancano ancora 35 km all’hotel e non possiamo attendere oltre. Il mio “amico” mi dice che nel giro di una ventina di minuti il cielo cambierà ancora colore, ma ormai è davvero tardi e la Maestra è esausta. Dobbiamo andare per forza, ma è una delle poche volte in cui lascio un pezzetto di cuore in un posto.
Il nostro hotel per la serata in realtà non è un hotel. È un tempio buddhista che affitta stanze (c’è anche un piccolo campo per roulotte e camper) con uso cucina. Niente a che vedere con il Koyasan, insomma.
Lungo la strada compriamo pane, formaggio, frutta, onigiri, dolci e (la Maestra) roba strana di cui non conosco l’esistenza e con cui non intendo approfondire la conoscenza e dopo aver vagato nella campagna per una mezz’ora buona (un ponte è chiuso e questo mette in crisi sia il Garmin, che il GPS Toyota che Waze e Google Maps) finalmente arriviamo a destinazione.
Il monaco ci mostra il tempio e la cucina, mi spiega come chiudere a chiave le porte scorrevoli (un pezzo di legno) e se ne va a casa.
Alla Maestra è stata assegnata una dependance all’esterno, mentre io sono l’unica ospite di tutto il tempio e ho circa 200 m2 tutti per me. La Maestra è praticamente sconvolta da questa cosa e continua a curiosare in giro, non riesce a capacitarsi del fatto che io dormirò tutta sola in questo tempio bellissimo e antico e credo che di questa storia parlerà alle amiche per un bel po’.
Ceniamo rapidamente nella cucina del tempio e poi ce ne andiamo a nanna. La Maestra scopre che tra le cose a disposizione degli ospiti ci sono un paio di bottiglie di saké e ne approfitta per un brindisi.
Al momento di andare a dormire la Maestra mi impone di lasciare almeno due luci accese, nel caso tiri un terremoto e io debba scappare. Mi ordina anche di indossare tassativamente un pigiama per dormire, invece della yukata, in modo da essere più svelta/presentabile in caso di fuga…
Ammetto che questa cosa mi preoccupa… mo’ chi glielo spiega che io dormo in mutande e canotta da anni e in caso di fuga la yukata sarebbe l’ultimo dei miei problemi?
L’indomani abbiamo deciso di andare a vedere l’asta del tonno a Kii-Katsuura, che comincia alle 7. Abbiamo circa 15 km da percorrere. Indovinate a che ora suona la sveglia…
Giorno 6 – 29/03
Alle 6 in punto la macchina è carica e siamo pronte a partire. Aspettiamo solo il monaco per il check-out. Il nostro ospite non si fa attendere e prima di muoverci verso il mercato abbiamo l’occasione di assistere alla preghiera del mattino al tempio.
Questa volta siamo solo noi e il monaco e lo stile è molto diverso da quello del Koyasan. Un’altra bella esperienza che non mi aspettavo.
Alle 6:45 siamo piazzate al mercato del pesce sulla balconata per turisti, con altre 5-7 persone, ma scopriamo che le informazioni sui vari siti e sulle guide turistiche sono sbagliate e che l’asta inizia prima nella parte esterna del mercato e che si sposterà nella nostra zona solo verso le 8:30 del mattino.
Per fortuna nessuno capisce la litania di improperi in dialetto parmigiano che mi lascio sfuggire in stile rap.
Facciamo buon viso a cattivo gioco e decidiamo di esplorare il mercato a piano terra, arrivando fino alla rete che separa l’area aperta al pubblico da quella riservata agli addetti ai lavori. Arriviamo proprio al momento giusto, perché nel giro di pochi minuti inizia l’asta nella nostra zona e riusciamo a vederla da vicino e non dalla terrazza con la vetrata davanti. Non tutto il male vien per nuocere.
Io ho avuto la fortuna di vedere l’asta del tonno al mercato di Tsukiji una decina di anni fa, ma quella di oggi è molto diversa e meno rumorosa di quanto non fosse quella di Tokyo. Le “puntate” per l’asta sono scritte su tavolette e tutto si svolge quasi in silenzio. Davvero interessante.
A questo punto sono le 8 del mattino, colazione rapida (io una barretta proteica del Family-Mart, buonissima, e qualcuno… un ciotolone di tonno fresco, groan) e poi si parte verso i tre santuari shinto del Kumano Kodo e il tempio buddhista del Seiganto-ji.
La regione del Kumano (parco nazionale di Yoshino Kumano) è una delle poche dove continua la tradizionale coabitazione dei templi buddhisti con i santuari shintoisti nello stesso complesso, pratica che si è sostanzialmente persa dopo che lo shintoismo è diventato religione di stato durante il periodo Meiji (1868 – 1912).
I primi due siti in programma sono il santuario Kumano Nachi Taisha e il tempio Seiganto-ji, che sono praticamente attaccati l’uno all’altro. Dietro al Seiganto-ji svetta la pagoda Sanjudo a tre piani con la cascata di Nachi sullo sfondo. È una bella giornata, ma un po’ velata e c’è parecchia foschia e la fotografa che è in me si preoccupa per la luce cangiante che potrebbe rovinarmi le foto.
Per accedere al sito ci sono diverse strade: quella più tradizionale prevede una salita “storica” in mezzo al bosco, su scale un po’ sdrucciolevoli. Discutendo con la Maestra prima del viaggio, mi aveva già detto che non se la sentiva di percorrere il vecchio sentiero e io le avevo detto che avrei cercato di arrivare con la macchina il più vicino possibile al tempio.
Ovviamente, appena arriviamo in zona, in base ai ricordi di viaggi di molti anni prima, comincia a darmi indicazioni ben confuse su dove lasciare la macchina, mentre io cerco di spiegarle che ho studiato la mappa e ho trovato un parcheggio praticamente in cima al monte, da dove dovremo scendere (e non “rampare”).
Niente da fare, mi fa cambiare 3 parcheggi a valle e poi dichiara di conoscere una “scorciatoia”… è così che i gradini, per quanto comodi e meno faticosi della via tradizionale, diventano comunque tipo 300.
O la strangolo o… la buttiamo in ridere.
Il complesso del Kumano Nachi Taisha / Seiganto-ji è molto bello e anche se c’è parecchia gente è chiaro che ci sono più pellegrini che turisti e non ce la ressa che ho visto ad esempio a Nikko. C’è un’atmosfera tranquilla e serena.
Appena arrivati scopriamo che uno dei turisti che avevamo incontrato all’asta del tonno al mattino è arrivato quasi insieme a noi e ci fermiamo un po’ a chiacchierare. È un signore di Kyoto sulla sessantina che è andato in pensione da poco e ha deciso di fare un pellegrinaggio visitando alcuni santuari scelti in base ad un itinerario specifico spiegato su una guida di cui non ho capito nulla, ma che la Maestra ha prontamente comprato, temo che il marito avrà il suo daffare a portarla in giro per i prossimi due anni. C’è anche un libro per i Goshuin solo per quello specifico pellegrinaggio e lei compra anche quello.
Il nostro amico è davvero gentile e ci regala anche due bastoncini di incenso da bruciare nel braciere del Seiganto-ji, per purificarci e per allontanare il male.
La Maestra, galvanizzata, prende subito anche un “Omikuji” (un biglietto contenente una predizione divina) che ci promette una “Media fortuna” nel resto dell’anno. Poteva andare peggio.
Completiamo il rito acquistando delle candeline colorate che accendiamo davanti alla Main Hall Kumano Nachi Taisha. La Maestra sostiene che siano una trappola per turisti, ma a me il monaco del Koyasan aveva detto che ogni colore rappresentava uno dei 5 elementi base dello Shinto oppure o uno dei 5 aspetti del Buddhismo… comunque sia sono carine e conta il pensiero, no?
Lasciamo l’area del Kumano Nachi Taisha e della Main Hall del Seiganto-ji e ci spostiamo verso la pagoda Sanjudo, con la cascata Nachi sullo sfondo e dove io, oltre al panorama magnifico, posso ammirare in tutto il suo splendore il parcheggio che avevo programmato sul Garmin, esattamente a 30 metri dalla pagoda, e pregustare i 300 gradini che mi aspettano per ritornare alla macchina.
La Maestra ammette che forse avevo ragione io…
Se non altro il cielo si è un po’ aperto e riesco a soddisfare le mie ambizioni fotografiche.
E la vista di scarpinate ne valeva anche due.
Ripartiamo verso il secondo santuario della triade Shintoista del Kumano Kodo, nonché Grande Tempio dei 3000 santuari Kumano sparsi in tutto il Giappone: il Kumano Hongū Taisha. Per arrivarci ci vuole un’ora abbondante di macchina.
Vorrei avere più tempo per visitare i dintorni del Kumano Nachi Taisha, ma con la viabilità locale praticamente inesistente, un giorno non basterebbe, bisognerebbe davvero fare una settimana di trekking al di là delle mie possibilità.
Il Kumano Hongū Taisha, le cui prime citazioni storiche risalgono al 9° secolo, si trovava una volta su un comodo banco di sabbia alla confluenza dei fiumi Kumano e Otonashi, ma dopo una forte alluvione nel 1889 è stato spostato… in cima alla collina più alta della zona ed è così che ci toccano altri comodi 158 gradini.
Sul fiume, al posto del santuario si trova oggi il più grande Torii del mondo, che svetta imponente in un mare di ciliegi in fiore.
A riprova dello stretto legame tra Shintoismo e Stato, il simbolo del Kumano Hongū Taisha è il corvo a 3 gambe (Yatagarasu) che è anche sulla maglia della nazionale giapponese di calcio. Secondo la Maestra, la federazione versa ogni anno una bella sommetta nelle casse del santuario per avere il permesso di fregiarsi del simbolo sulla maglia.
Il corvo a tre gambe è animale sacro e per il suo acume e vista acuta è considerato come uno spirito guida per gli esseri umani. Insomma, le implicazioni sono chiare.
Il santuario è molto bello e completamente diverso dal Kumano Nachi Taisha. Quando arriviamo c’è una funzione privata in corso, cui non possiamo ovviamente assistere, e nel tempio risuona il ritmo dei tamburi rituali suonati dai sacerdoti.
Alla fine del giro ci fermiamo per una merenda/pranzo veloce in un bar vicino al santuario e poi ripartiamo per la prossima avventura.
Nel pomeriggio, prima che la Maestra mi abbandoni, ci aspetta la discesa del fiume Kumano in barca tradizionale (Kawabune River Boat Tour) fino al terzo santuario, il Kumano Hayatama Taisha, a Shingu.
Questa è un’escursione a cui tenevo molto e che ho prenotato da parecchio. Il tragitto dura 90 minuti abbondanti per circa 20 km di percorrenza e, vestiti di tutto punto con giubbotto salvagente e cappello di paglia da pellegrino d’ordinanza, discendiamo il fiume con calma, in alcuni tratti spinti a remi dal nostro pilota e per il resto del tempo da un piccolo motore fuoribordo. In un punto particolarmente panoramico la nostra guida suona anche il flauto tradizionale.
La nostra discesa è sicuramente più veloce e meno turbolenta di quanto non fosse quella dei pellegrini 1000 anni fa, ma le modalità sono le stesse.
La guida ci spiega infatti che molti pellegrini, se le possibilità economiche lo permettevano, sceglievano di scendere a valle in barca, vista la difficoltà e lunghezza del percorso pedonale in mezzo alle montagne e noi oggi percorriamo esattamente lo stesso tratto di fiume.
Il terzo tempio, pur bello e interessante, mi sembra più piccolo e “sacrificato” come spazi rispetto agli altri due. Si trova praticamente sul fiume ai limiti della città di Shingu e in effetti sembra più un tempio di città rispetto ai precedenti immersi nella natura lussureggiante.
Dopo il Goshuin e le foto di rito è presto ora di salutare la Maestra che riparte in treno proprio da Shingu per Tobe, mentre io torno al punto di partenza della barca con il minibus dell’ente turistico, riprendo la macchina e riparto sola alla volta della cittadina di Kumano.
Dopo un’oretta di strada (in parte costeggiando il fiume che ho appena disceso con la barca) arrivo alla guesthouse che ho prenotato per la notte.
È una guesthouse molto piccola e a conduzione famigliare. Le stanze sono datate, ma grandi e pulitissime e il letto grande e comodo. Incredibile, ma vero, ho anche un bel balconcino da cui fotografare la baia (sono a 30m dal mare).
I gestori sono simpaticissimi e gentilissimi e parlano forse 3 parole di inglese in due, ma dopo una settimana di full-immersion in Giappone non ho grossi problemi a comunicare.
Mi prenotano loro la cena all’Izakaya più gettonata della città (dove mangerò il pollo fritto in salsa ponzu più buono che abbia mai mangiato e una deliziosa bistecca di Kumano Wagyu…) e mi chiedono dove andrò il giorno dopo.
Quando gli spiego che devo essere a Toba (Ise-Shima National Park) prima delle 10 (circa 95km tutta in autostrada) e che sono sola con la macchina… a dispetto dei tempi di percorrenza indicati da ogni strumento elettronico in mio possesso decidono che per un tragitto così LUNGO non posso partire alle 8 come programmato… e così ancora una volta, sveglia all’alba, colazione alle 7 in punto e alle 8:40 sono Toba.
Almeno a colazione mi fanno dei pancakes deliziosi
Giorno 7 – 30/03
Per oggi ho prenotato, a partire dalle 10, un tour di 5 ore della zona di Toba che comprende anche un incontro e un pranzo con le pescatrici Ama (https://oz-group.jp/english/tour_menu/one-day-ama-experience/ https://it.wikipedia.org/wiki/Ama_(pescatrici_subacquee)
L’escursione è privata e la guida, che parla inglese, mi porterà in giro con il minivan dell’agenzia, quindi giornata di pieno relax.
Per organizzare la gita sono appoggiata direttamente ad un’agenzia locale, che dà lavoro a ragazze del posto e che ha vinto dei premi per il turismo ecologico (Kaito Yumin Club – https://oz-group.jp/english/).
Dato che sono arrivata presto, prima del tour faccio un giretto per la cittadina per vedere i ciliegi in fiore e per spedire il mio trolley e lo zaino direttamente a Haneda, dato che l’ultimo giorno sarò senza macchina e mi aspettano una giornata molto piena e poi il viaggio a Tokyo con il bus.
Il giro parte dall’Isola delle Perle Mikimoto, da dove ha avuto inizio la storia delle perle coltivate e dove assisto ad una breve dimostrazione di pesca da parte delle pescatrici Ama. La visita continua al flagship store di Mikimoto Ginza, un tripudio di gioielli e perle, dove rapidamente capitolo e mi compro un paio di orecchini.
Fatto il misfatto, prendiamo la macchina e la guida mi accompagna per un tour panoramico in direzione di Osatsu, dove pranzo in una “Ama Hut”, la capanna dove le pescatrici Ama si riuniscono e dove accolgono i turisti e offrono loro un pranzo a base di frutti di mare.
Le “mie” pescatrici sono due signore sui settanta, che ogni giorno si immergono ancora per raccogliere i molluschi e le alghe alimentari che una volta essiccate saranno una leccornia venduta in tutto il Giappone.
Il pranzo non è proprio nelle mie corde, considerando che odio i molluschi e non mangio neanche gli spaghetti con le vongole finte, ma le signore Ama non lo sapranno mai: a rischio della mia stessa vita ingoio tutto squittendo di piacere.
Dopo il pranzo, chiacchieriamo ancora un po’ con le signore e poi visitiamo il piccolo porto dove – piccolo fuori programma – un artigiano locale appassionato di Ornella Vanoni mi offre il tè e mi mostra il metodo tradizionale di produzione del sale marino in Giappone: raccolto per bollitura e non per evaporazione al sole… ci vogliono 10 gg di bollitura dell’acqua per vuotare ognuno dei pentoloni.
Sapevate che la musica italiana anni 60 è famosissima in Giappone e che i giapponesi di una certa età impazziscono per Gigliola Cinquetti, Bobby Solo e Gianni Morandi e che le loro canzoni si trovano nei karaoke traslitterate in katakana?
Il giro si conclude con la visita al piccolo museo della cultura Ama e, infine, con una sosta al santuario Shinmei-Jinjia dove le pescatrici Ama andavano a pregare per fare ritorno a casa sane e salve dalle immersioni e proteggersi dagli spiriti maligni e dove ancora oggi si recano in pellegrinaggio donne da tutto il Giappone in quanto il kami Ishigami-san “garantisce a ogni donna la realizzazione di almeno un desiderio”. Vediamo come va a finire.
Dopo il tour prendo un tè con le ragazze del Kaito Yumin Club (sono carinissime e Kiyomi, la mia guida, mi ha scattato un sacco di foto che mi ha mandato la sera stessa su Line) e poi decido di andare presto in hotel e di godermi la serata nell’hotel più “lussuoso” di tutto il viaggio.
Il Miyako Resort Okushima Aqua Forest è un hotel non nuovissimo, ma davvero bello e si trova in una location stupenda con un parco enorme dove si possono fare delle belle passeggiate panoramiche. C’è perfino un piccolo osservatorio astronomico, oltre ad una bellissima area termale e una zona piscine.
L’hotel è pieno di famiglie venute a trascorrere gli ultimi scampoli delle vacanze scolastiche e l’atmosfera è molto allegra.
Prima della cena (anche stavolta a buffet) faccio una bella passeggiata sulla baia e mi godo il tramonto da sola da uno dei viewpoints. Relax 100%.
Chiudo la serata con l’immancabile bagno alle terme.
Giorno 8 – 31/03
La giornata di oggi è forse la più tranquilla di tutta la vacanza. Ho appuntamento con la guida, prenotatami da Marco Ferrari, in un paese vicino all’hotel e poi lei starà con me fino a sera. Tutti gli spostamenti saranno con la mia macchina.
L’appuntamento è alle 10 in stazione a Kashikojima, ma la Signora Kumi mi rintraccia all’interno del Family Mart alle 9:35 mentre sto facendo uno spuntino con un’irresistibile crèpes alla fragola.
Io sono vestita super sportiva in tuta e sandali e lei è in kimono! Bellissima.
Per una volta abbiamo tutto il tempo che ci serve e affrontiamo la giornata con tranquillità, visitando prima una gioielleria storica in città dove hanno girato uno dei 48 (!!) film della serie di Tora-san (famosissima in Giappone https://it.wikipedia.org/wiki/Otoko_wa_tsurai_yo) e poi spostandoci lentamente verso Ise, con una tappa all’osservatorio di Yokoyama per ammirare ancora una volta la Baia di Ago.
Il tempo non è granché, ma secondo Kumi-san migliorerà sicuramente nel pomeriggio.
Il pranzo è compreso nella gita e al famoso ristorante “Tempura Tobari” mangio la tempura più buona della mia vita, una delizia.
Nel pomeriggio, finalmente con il sole, visitiamo i santuari di Ise Jingu (Geku e Naiku), immersi nel verde. Il santuario più centrale, Naiku, dove risiede lo spirito di Amaterasu, è invaso da frotte di turisti, mentre il più piccolo Geku, dove “abita” il dio dell’agricoltura e dei raccolti, Toyouke, è meno affollato e più raccolto.
I santuari sono imponenti, ma ad essere importante qui è soprattutto l’aspetto culturale. I santuari di Ise, che hanno sempre come Head Priest o Gran Sacerdote un membro della famiglia imperiale (al momento la carica è occupata dalla sorella minore dell’Imperatore Naruhito, Sayako Kuroda), sono tra i pochi a continuare la tradizione della ricostruzione dei santuari ogni 20 anni.
Come mi fa giustamente osservare la guida, questa pratica ha un aspetto tradizionale/culturale e di conservazione/trasmissione delle antiche tecniche costruttive, ma è anche un grosso sforzo economico, e il fatto che un santuario continui ad osservare questa tradizione dà la misura del suo potere religioso e temporale…
Anche l’apparente sobrietà delle strutture, non dipinte e quindi poco protette dalle intemperie, è uno sfoggio di ricchezza e potere, come a dire che in cassa ci sono i soldi per le riparazioni e le ricostruzioni. È un punto di vista molto interessante.
In ogni caso, il legno sacro del santuario smantellato, se sano, viene recuperato all’interno del santuario stesso per costruire Torii e per altre riparazioni. Solo ad un negozio di saké in centro città viene concessa una piccola parte del legno, poi messa in bella mostra sulla facciata del negozio, in cambio dei servigi resi al santuario.
Un’altra cosa interessante è che anche a Ise, come in tutti i santuari shintoisti, ai comuni mortali non è permesso varcare la soglia del perimetro sacro se non in circostanze eccezionali. Anche l’Imperatore, sebbene in virtù della “parentela” con Amaterasu sia ammesso all’interno del perimetro sacro, non può entrare nella sala dove risiede il Kami, ma deve fermarsi appena prima dell’ingresso del Sancta Sanctorum. La distanza a cui ci si ferma dall’ingresso del cuore del santuario è quindi la misura dell’importanza del personaggio.
Ora, proprio mentre noi siamo in visita a Naiku (le foto non sono ammesse, mannaggia!) al santuario sono in visita un importante rappresentante religioso e la sua signora e abbiamo il privilegio di vederli entrare all’interno del perimetro sacro per porgere il loro omaggio alla divinità. Non so il nome della persona, ma si avvicina talmente tanto alla porta del santuario interno che il sacerdote di fianco alla guida si lascia scappare un esclamazione: “Impudente!”
Dopo la visita dei santuari e della via commerciale storica della città di Ise (Okage Yokocho), torniamo alla macchina passeggiando lentamente lungo il fiume e ammirando i ciliegi in fiore. La temperatura è perfetta, il cielo è azzurro, gli uccellini cinguettano e io vorrei tanto restare lì per sempre… e quindi inciampo prontamente e mi spalmo sul selciato.
La scena è interamente ripresa dal mio cellulare che vola, vola, vola e si frantuma davanti a me (funziona ancora, però!), mentre la guida teme che io sia pronta per la sepoltura e io le sussurro: “la macchina fotografica, la macchina fotografica… non sporcarti il kimono, sono viva…”
Alla fine, vetro del cellulare a parte, che comunque era già rovinato, l’unica vittima sono i miei pantaloni strappati (e chi è che ha spedito tutto a Haneda il giorno prima, eh!? Volete vincere 1 yen?) e il mio orgoglio.
Tranquillizzo la guida e riguardo il video… così per mezz’ora continuo a ridere e la guida, pur tranquillizzata sulle mie condizioni di salute, teme che io abbia battuto la testa.
A questo punto sono quasi le 5 del pomeriggio e Kumi-san mi accompagna verso l’ultima tappa del viaggio, le rocce del Meoto Iwa (le famose Rocce Sposate) e mi lascia al ryokan Hamachiyokan di Futamigaura dove passerò l’ultima notte in Giappone.
Le foto del ryokan che ho visto sui vari siti prima della partenza non corrispondono per nulla alla mia camera, che è decisamente vecchiotta e bisognosa di una rinfrescata. Il futon è perfetto, ma il resto della camera è decisamente shabby rispetto alle foto “patinate” che ho visto in giro e decisamente nulla a che vedere con il lusso che mi aspettavo per il prezzo.
C’è da dire che la struttura è pienissima di ospiti, gruppi e famiglie e quindi probabilmente io sono sono finita in una stanza un po’ sfortunata. Vabbé… me ne farò una ragione.
Se non altro il ryokan è proprio sul mare e a pochi passi dal Meoto Iwa e per me l’importante è quello.
Rattoppate le braghe e il ginocchio sotto alla bell’e meglio con ago filo e cerottoni, volo subito al tempio Futamiokitama-Jinja per vedere le rocce e assistere al tramonto sul mare.
È rimasta un po’ di foschia, ma è comunque una bellissima serata e lo spettacolo naturale meraviglioso.
A cena rientro al ryokan, dove mi aspetta un’altra cena dell’orrore… ehm, deliziosa, piena di tipiche delizie locali e quindi di nuovo sushi, ostriche e molluschi a volontà. Mangio tutto quel che riesco, cuocio di nascosto il resto nel pentolino della zuppa e in qualche modo sopravvivo.
Molluschi e pesce crudo proprio non vanno giù.
Finisco la serata con il mio ultimo bagno all’onsen e corro a dormire, perché domani ci si alza presto!
Giorno 9 – 01/04
Tanto per cambiare, la sveglia suona alle 5 e alle 5:20 sono in postazione davanti al Meoto Iwa pronta per vedere il sole spuntare. Al mio arrivo ci sono solo un paio di persone, ma nel giro di un quarto d’ora il numero aumenta considerevolmente, saremo almeno una 30ina, ma l’ambiente è comunque tranquillo.
Lo spettacolo del sole che sorge dietro le rocce è meraviglioso e mi fermo ben oltre l’alba, seduta su una roccia a godermi la vista. L’unica piccolissima delusione è non riuscire a vedere l’ombra del Fuji all’orizzonte, c’è troppa foschia, purtroppo, ma quel che ho visto mi basta.
Verso le 7 riesco ad ottenere il mio ultimo Goshuin e mi sembra giusto averlo preso proprio qui.
Rientro in ryokan per colazione (bellissima, ma per me non commestibile), preparo i bagagli e faccio check-out, perché oggi sarà una giornata impegnativa e con un programma tiratissimo almeno fino a ora di pranzo.
Come già detto, grazie all’aiuto della mia amica giapponese, sono riuscita ad acquistare un biglietto di tribuna numerata bassa per uno show di pattinaggio su ghiaccio ad Osaka, Stars on Ice Japan. Per i non appassionati posso solo dire che, almeno tra le donne, oggi il pattinaggio in Giappone è più popolare che il calcio a Napoli. Muove folle oceaniche di signore, dai 10 ai 100 anni. Per gli appassionati, un solo nome… Hanyu Yuzuru, non serve altro.
Dico solo che per avere questo biglietto ho partecipato ad una lotteria.
Comunque, lo spettacolo inizia alle 13 in una zona di Osaka non proprio comoda da raggiungere per chi arriva da Ise e io devo darmi da fare per non arrivare in ritardo.
Da Futamigaura torno a Toba per riconsegnare la macchina e prendo subito un treno diretto per Tsuruhashi (Osaka), da lì metro fino a Morinomiya, dove lascio macchina fotografica e zaino in un locker in posizione tattica per andare a visitare il castello di Osaka dopo lo spettacolo, e da lì di nuovo metro fino a Kadoma Minami, luogo dello spettacolo, dove arrivo giusta giusta per le 12:20. La metro è così piena che molte signore rinunciano a salire. Sembra di stare a Shinjuko in ora di punta.
Compro le edizioni speciali dei quotidiani con le foto dei miei beniamini e il programma dello spettacolo e mi piazzo nella mia poltroncina per assistere ad uno show che soddisfa tutte le mie aspettative e pure oltre.
Alla fine dello spettacolo faccio la turista indisciplinata e con molte scuse alle mie vicine corro alla metro a prendere il primo treno, per non restare intrappolata dalla folla. Missione compiuta e alle 15:45 sono di nuovo a Morinomiya. Prendo la macchina fotografica dal locker e ci infilo la busta con gli acquisti e riparto.
Devo dire che non ho avuto un gran feeling con la metro di Osaka e con l’Osaka Loop (linea JR). Li ho usati tranquillamente e senza perdere tempo/me stessa, ma ho fatto un po’ fatica con le indicazioni e a trovare i percorsi.
Comunque, la prima tappa da turista è l’Osaka Museum of History. Il museo è molto bello, con diverse ricostruzioni della città antica (anni ’50, periodo Heian, etc.) e artefatti storici/reperti archeologici. Per me la parte più interessante sono però le grandi vetrate che ad ogni piano danno una magnifica vista sul castello di Osaka dall’alto. La luce non è un granché per le foto, ma ho anche gli occhi e quelli funzionano (ancora) bene.
Dopo il museo trascorro il resto del pomeriggio al castello, fino a tarda sera.
Avrei anche il biglietto per l’accesso agli interni, ma è una giornata talmente bella e con un tale tripudio di ciliegi in fiore che preferisco fermarmi nei giardini e fare il giro completo, per assaporare l’hanami come le migliaia di giapponesi (e stranieri che lavorano a Osaka) che fanno picnic spaparanzati sui tradizionali teli blu o giocano a badminton o a palla nei prati.
L’atmosfera è super rilassata e c’è un’umanità varia e un po’ rumorosa, per gli standard locali, ma la birra scorre a fiumi e alza il livello di allegria generale. Ci sono famigliole, coppiette, qualche lolita che si fa fotografare e gruppi di anziani che giocano a mahjong e bevono pure loro. Insomma, proprio bello.
In tarda serata, dopo il tramonto, mi sposto a Umeda, da dove partirà il mio bus per Tokyo. Visto che ho ancora un paio d’ore salgo all’osservatorio sulla cima dello Sky Building. Non è il palazzo più alto di Tokyo, ma al Kuchu Teien Observatory non ci sono vetrate e riflessi ad ostruire la visuale e mi godo un’ultima vista di Osaka dall’alto.
Alla fine, devo comunque dire che la città Osaka non mi ha entusiasmato. È una bella città, sicuramente il top per lo shopping e mangiare, sicuramente più “rilassata e godereccia” rispetto a Tokyo, ma mi è sembrata anche più anonima e ci passerei forse solo 1-2 gg in più per vedere i negozi, mangiare altre nefandezze, e vedere un paio di musei che mi sembravano carini. Se al castello non ci fossero stati i ciliegi in fiori (che, diciamola tutta, renderebbero bella anche una discarica), dopo aver visto Himeji, Kumamoto, Matsumoto e compagnia cantante… insomma, anche perdibile.
Prima di scendere dall’osservatorio mangio le ultime porcherie al bar e, infine, dopo aver fatto rifornimento di acqua per la notte, è ora di salire sul bus che mi porterà all’ultima tappa del viaggio.
Esausta per la giornata lunghissima e super comoda nel mio lettino da viaggio con regolazioni elettriche mi addormento subito e dormo tutta la notte fino all’arrivo a Tokyo (Otemachi, a pochi passi da Tokyo Station).
Giorno 10 – 02/04
Arrivo a Tokyo Otemachi alle 6:25 del mattino. Ho scelto di fermarmi qui e non a Ikebukuro o Shinjuku, perché a pochi passi dal bus terminal c’è una fermata della Mita Line che in pochi minuti mi porta a Mita e da lì ho la metro diretta per Haneda.
Contrariamente ad Osaka, nella metro di Tokyo mi sento proprio a casa. Il mio cervello riconosce l’odore tipico che associa alla metro e mi ritrovo a imboccare corridoi e seguire percorsi con facilità… home sweet home.
Prima delle otto del mattino sono a Haneda, recupero facilmente le borse (il mio copritrolley è abbastanza inconfondibile) e le spedisco nel giro di pochissimi minuti.
Un ultimo giro (e un po’ di shopping al BicCamera) nell’area Edo Ko-Ji e si torna in Italia.
Ma, come al solito, è solo un arrivederci.
Autore
Erika Passerini